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giovedì 25 febbraio 2010

Capitolo 3


"Sentii improvvisamente la prima lacrima che mi rigava il viso e piansi tra le braccia di mia madre."

Vi presentiamo il terzo capitolo del nostro racconto.

Aspettiamo con ansia vostri pareri e commenti.

Gli scrittori_improvvisati
Capitolo 3

Rimanemmo a chiacchierare in cortile per un po’. Discutemmo di cose futili e stupide, avevamo bisogno di distrarci.
Ad un certo punto mia madre uscì di casa urlando cose incomprensibili. Mi alzai e andai verso di lei, quando la raggiunsi era in un mare di lacrime.
- Mary è successa una cosa orribile. – mi annunciò gravemente.
- Cosa? – dovevo interpretare la mia parte meglio che potevo, non potevo sbagliare nulla.
- Luca è … è morto. La polizia ha trovato il suo corpo vicino al fiume.
Mia madre piangeva come una disperata, ancora un poco ed iniziava ad urlare a squarciagola. Riuscivo solo a pensare che dovevo recitare come non avevo mai fatto. Mi facevo schifo da sola da quanto ero insensibile. Avevamo ucciso un nostro amico, dovrò aver pure provato qualcosa! Un po’ di rimorso o anche rabbia, proprio niente? Non è possibile che fossi così senza cuore.
Sentii improvvisamente la prima lacrima che mi rigava il viso e piansi tra le braccia di mia madre. Non dicemmo nulla: io perché non volevo rovinare la mia recita e mia madre perché non sapeva come consolarmi.
Davide rimase sull’altalena durante questa scena, probabilmente eravamo troppo patetiche per i suoi gusti. O forse non sapeva come comportarsi.
Quando smisi di piangere mia madre mi disse che dovevamo andare in commissariato, a dire quello che sapevamo. Perché ormai anche la polizia sapeva che le uniche persone che frequentavano Luca eravamo io e Davide. Ci avviammo tutti e tre verso l’auto di mia mamma e partimmo verso la questura.
Quando scesi dall’auto un brivido di paura mi corse lungo tutta la schiena, ero veramente in panico. Cercai la mano di Davide, avevo bisogno del suo calore e del suo sostegno. Lui però non mi badò: appena sentì il contatto della mia mano la ritrasse e abbassò lo sguardo. Biascicò qualcosa, ma, irritata, non lo stavo a sentire.
Entrammo all’interno dello stabile: c’erano ovunque uomini in divisa pronti a sbranarmi. Chissà se sarei sopravvissuta. Camminammo lungo il corridoio principale fino a giungere all’ultima stanza, quella del commissario.
- Salve commissario, mi ha chiamato poco fa per dirmi della… - fece una lunga pausa e prese fiato – della morte di Luca. – disse mia madre.
- Sì giusto, Luca Cecchetto. Sono molto addolorato. – disse porgendo la mano a ciascuno di noi tre.
Io impietrita porsi la mia, ma non riuscii a stringerla. Non avevo più forze. Per Davide, invece, il saluto sembrò quasi una routine, ostentava un’immensa sicurezza.
Rimanemmo lì tutto il resto della mattinata. Il commissario ci fece delle domande in quella stessa stanza. Ci chiese se eravamo con Luca ieri sera, da quanto non lo vedevamo, perché non eravamo con lui, se ci fossero stati litigi fra di noi di recente oppure con altra gente. Fece poche altre domande, perché evidentemente avrebbe voluto sentirci separatamente. Rispose Davide a quasi tutte le domande, eccetto quando il poliziotto si rivolse esplicitamente a me.
- Avevate litigato di recente? – mi domandò.
Lo fissai bloccata, non riuscendo ad aprire bocca. Era una domanda così stupida ed inutile, ma non sapevo che fare. Dovevo dirgli la verità o no? Cosa dovevo fare? Entrai nel panico e continuai a fissarlo per alcuni secondi senza aprir bocca. Sentivo che gli occhi di mia madre e quelli di Davide mi scrutavano, alla ricerca di un perché del mio silenzio.
- Avete litigato di recente? – mi ripeté.
Annuii quasi impercettibilmente, una lievissima scossa del capo seguita da un sibilo affermativo.
- Sì, avevamo litigato mercoledì. – dissi. Del resto era la verità.
Mi affrettai ad aggiungere anche che, però, avevamo già sistemato tutto. “Per quanto si possa sistemare con Luca” pensai tra me e me.
Dopo avermi guardato abbastanza male, il commissario si congedò e disse che ci avrebbe chiamato più avanti per le deposizioni ufficiali. Potemmo quindi tornare a casa.
Durante il viaggio regnò il silenzio più totale. Arrivati, mia madre invitò Luca a rimanere a mangiare a pranzo, ma lui rifiutò gentilmente dicendo che doveva andare a casa perché non si sentiva tanto bene. Lo accompagnai alla moto, consapevole che mi avrebbe accusata di essere stata una stupida per essermi comportata in quel modo.
Finalmente alzò lo sguardo da terra e mi guardò negli occhi. C’era così tanta amarezza riflessa che mi sentii uno schifo totale. Non disse nulla: aveva capito che non occorrevano parole ma che era bastato il suo mesto sguardo per esprimere quello che pensava. Non mi risparmiò nulla: mi caricò sulle spalle tutta la colpa del fallimento della prima della nostra recita. Sembrava proprio che i suoi occhi dicessero “Sei una stupida” e probabilmente avrebbe fatto meno male sentirselo dire a parole.
- Che dovevo fare? – sbottai d’un tratto incollerita – È inutile che mi guardi così, mi fai solo che star peggio. È andata così.
- Hai ragione, scusa. Forse hai fatto anche bene a dire la verità, dimostri di non aver nulla da nascondere.
Ora iniziava ad arrampicarsi sugli specchi perché non aveva voglia di litigare. Era fatto così, ormai lo conoscevo. Il fatto, però, mi seccò ulteriormente.
- Senti, o sei incazzato o no. Non puoi cambiare umore così in un secondo. Vabbè, adesso sono nervosa ed è meglio se sto zitta, sennò poi dico cose di cui mi pento.
- Va bene. Ci vediamo dopo, se ci sono problemi ti chiamo. Ciao.
Entrai in casa e lo guardai andare via attraverso il vetro della finestra. Poi mi fiondai in camera e ci rimasi tutto il pomeriggio: non arrivò nessuna chiamata e tantomeno nessuna visita.



Federica Magnabosco, Matteo Zoppello, Diego Lombarda.