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martedì 20 aprile 2010

Quarto racconto completo "Una vita da sogno"


Il signor Paolo aveva appena finito un estenuante turno di notte in ospedale. Lavorava come infermiere nel reparto di Geriatria: il suo compito era quello di cambiare pannoloni ad anziani autonomi quanto dei neonati e pulirli quando puntualmente si sporcavano durante i pasti. Paolo odiava la sua vita dedicata all’aiuto di quattro dementi e non sopportava l’idea che quei vecchiacci fossero le uniche persone che aveva. Egli era totalmente solo: scapolo quasi cinquantenne, non aveva mai avuto un amico nemmeno fra i suoi colleghi. Alla morte dei suoi genitori, avvenuta anni prima, si era trovato a vivere senza nessuno accanto. Più volte aveva tentato di mollare tutto e di uccidersi, ma ogni volta non aveva trovato il coraggio a farla finita definitivamente. Aveva sempre tentennato all’ultimo momento ed era tornato alla sua vita come nulla fosse....

lunedì 19 aprile 2010

Terzo racconto completo "La mia verità"



Il sangue sgorgava da quella sua lurida testa. Io e Davide guardavamo il corpo esanime di Luca steso a terra: l’avevamo ucciso. Eravamo stati noi due, insieme, anche se a spingerlo era stato solo uno eravamo entrambi colpevoli. Ma come si fa ad essere così idioti da scivolare sul ghiaccio e sbattere la testa contro il muro?
Non sapevo che fare, avevo paura. Mi voltai verso Davide, in cerca di un suo sguardo che potesse darmi forza. Era sempre sicuro di sé, protetto dai suoi muscoli e dal timore che incutevano nelle persone. Ma questa volta i suoi occhi brillavano alla luce fioca dell’unico lampione presente in strada.
- Che facciamo? – volevo rompere quel silenzio straziante, non ce la facevo più.
Nonostante tutto, però, non sentivo il bisogno di piangere. Luca era uno stronzo e di certo non sarebbe mancato a nessuno. Se l’era cercata la sua morte....

domenica 18 aprile 2010

Secondo racconto completo "A proposito dei laboratori..."



Eccomi seduta sul mio banco di scuola con la testa rannicchiata fra le braccia cercando di combattere il sonno che vuole impadronirsi di me mentre tento di seguire la lezione. Un giorno uguale ad altri mille, ma almeno oggi è sabato e così domani posso riposarmi un po’. Mancano solo due ore alla fine della giornata, perché oggi, dato che l’insegnante di matematica è assente, usciamo un’ora prima del solito. Dopodiché avrò la libertà di godermi il sabato pomeriggio e, addirittura, una domenica intera da mattina a sera....

sabato 17 aprile 2010

Primo racconto completo "Le sventurate avventure di Marco Brambilla"




Era una mattina uggiosa nella periferia di Milano. L’alba era da poco passata e l’umidità tipica d’inizio primavera, quando ancora c’è quell’aria fredda e invernale, penetrava nelle ossa di giovani e anziani. Alcune auto correvano svogliate sull’asfalto per una nuova, noiosa giornata di lavoro.
Ma quello era un giorno particolare per Marco Brambilla perché sarebbe dovuto andare al suo primo colloquio di lavoro: cameriere e barista in una trattoria fuori Milano. Trovò quel posto grazie ad uno stage con la scuola, l’Istituto Professionale Carlo Porta. Questo era il suo ultimo anno e voleva avere già un lavoro per quando non avrebbe più dovuto studiare. Marco era in terza BS e non era dotato di una grande intelligenza, anzi era piuttosto scemo, nonostante non fosse mai stato bocciato durante la sua carriera scolastica. Era un ragazzo dai capelli castano chiaro, come gli occhi: in realtà era una persona abbastanza anonima al primo impatto. Ma al Carlo Porta, tutti gli alunni e gli insegnanti avevano almeno una volta sentito parlare di lui: era molto ingenuo e si faceva fregare dalle persone spesso e con molta facilità. Per questa sua mancanza, era preso di mira da professori e studenti.
L’anno precedente un compagno gli aveva offerto una merendina.
- La macchinetta me l’ha data per sbaglio, a me non piace. Tienila – gli aveva detto.
In realtà il ragazzo, con i suoi amici, aveva messo del lassativo dentro la merenda....

domenica 11 aprile 2010

Una vita da sogno


Ecco pubblicato come d'anticipazione il quarto racconto

"Una vita da sogno"

Sperando che sia di vostro gradimento


Gli scrittori_improvvisati:
Federica Magnabosco, editor
Matteo Zoppello, webmaster
Diego Lombarda, creativo


Il signor Paolo aveva appena finito un estenuante turno di notte in ospedale. Lavorava come infermiere nel reparto di Geriatria: il suo compito era quello di cambiare pannoloni ad anziani autonomi quanto dei neonati e pulirli quando puntualmente si sporcavano durante i pasti. Paolo odiava la sua vita dedicata all’aiuto di quattro dementi e non sopportava l’idea che quei vecchiacci fossero le uniche persone che aveva. Egli era totalmente solo: scapolo quasi cinquantenne, non aveva mai avuto un amico nemmeno fra i suoi colleghi. Alla morte dei suoi genitori, avvenuta anni prima, si era trovato a vivere senza nessuno accanto. Più volte aveva tentato di mollare tutto e di uccidersi, ma ogni volta non aveva trovato il coraggio a farla finita definitivamente. Aveva sempre tentennato all’ultimo momento ed era tornato alla sua vita come nulla fosse.
Paolo era quasi arrivato a casa. Si trovava nella zona industriale del paesello prima di quello in cui abitava; il sindaco aveva evidentemente deciso di attuare una politica di risparmio energetico, perché non c’era nessun lampione acceso in tutta la zona. Gli alti muri che proteggevano le fabbriche, inoltre, non favorivano affatto la visuale. Ad ogni incrocio si rischiava la vita.
Paolo era assorto nel guardare il cielo che si stava preparando all’alba quando all’improvviso fece un incidente, il più grande della sua vita. Fu un colpo potentissimo e solo l’airbag protesse il suo naso da uno schianto colossale contro il volante. Anche il rumore non fu da meno e fu una fortuna che si trovassero nella deserta zona industriale, perché il boato sarebbe stato in grado di frantumare le finestre delle eventuali abitazioni.
Appena Paolo si riprese dallo shock, alzò lo sguardo per individuare chi era la persona con la quale si era appena scontrato. Non risparmiò nessuno nelle sue imprecazioni: fra tutte le macchine con cui poteva andare a scontrarsi, doveva proprio trovare una di quelle automobili sportive che si vedono solo sulle riviste? Era la più bella auto che Paolo avesse mai visto e questa era una gran brutta faccenda, perché certamente il proprietario avrebbe chiesto il pagamento di una somma improponibile per un povero infermiere di Geriatria, avrebbe fatto di tutto pur di riparare il suo amato gioiello dall’infinita cilindrata.
Scese dalla sua macchina sgangherata per dirigersi verso quell’auto da favola. Almeno avrebbe fatto il tentativo di scusarsi, nella speranza di trovare uno di quei fantomatici ricchi gentili che avrebbe compreso la sua situazione disperata e lo avrebbe risparmiato dal pagamento di decine di migliaia di euro.
Si avvicinò un po’ e notò un fatto molto molto spiacevole: il cranio dell’autista era appoggiato al finestrino, totalmente sporco di sangue, a peso morto. Si accorse anche che il parabrezza dell’auto era inesistente e che gran parte del cofano si era distrutta.
Paolo capì che quell’uomo non avrebbe mai potuto accettare le sue scuse.
Procedendo, notò con grande sconforto dei profondi tagli sul viso dell’uomo. Da lì il sangue usciva copiosamente e non accennava a smettere. Quando aprì la portiera l’uomo ben vestito, seppur totalmente insanguinato, cadde a terra morto.
Paolo cacciò un urlo disumano: quell’individuo era uguale in tutto e per tutto a lui. L’infermiere sbiancò, non aveva mai visto in vita sua una persona che gli somigliasse così tanto nell’aspetto. Era la sua copia; anzi, era ancora più uguale a lui di una sua copia.
Mentre era ancora in preda al panico, a Paolo venne un’idea perversa: di certo un uomo così ricco e ben abbigliato doveva essere felice. Incuriosito, cercò all’interno della giacca il portafoglio e, ancor prima di controllare la quantità di denaro che aveva con sé, esaminò la carta d’identità. Essa diceva che l’uomo era sposato e di certo la moglie doveva essere una gran bella donna, che aveva approfittato dell’ottima situazione economica di quello stempiato grassone.
Paolo decise che era giunto il suo momento; aveva vissuto un’esistenza infelice, ma ora avrebbe cambiato le cose: voleva avere delle persone accanto, avere un bel lavoro che gli procurasse tanti soldi. Voleva semplicemente essere felice e l’uomo che aveva appena ucciso lo era stato di certo, lo si leggeva in quella sua faccia paffuta. Nessuno non si sarebbe accorto dello scambio d’identità e il morto di certo non avrebbe avuto nulla da ridire.
Iniziò quindi a prendere gli oggetti dal cadavere: i suoi documenti, cellulare, agende e tutto il resto ad eccezione dei vestiti, che erano troppo insanguinati. Lo trascinò di peso, con molta fatica, nella sua auto scassata e lo mise al volante. Spaccò il parabrezza, utilizzando il cric che aveva nel bagagliaio, in modo da giustificare i tagli che aveva sul volto.
Paolo si sentì soddisfatto del lavoro compiuto ed eccitato al pensiero della nuova vita che avrebbe vissuto. Ripudiò l’uomo che era stato e si sbarazzò di quell’identità che non lo riguardava più, come si fa con i vecchi vestiti ormai troppo stretti e consumati. Non sarebbe mai più stato l’infermiere Paolo da quel momento. Guardò di nuovo la carta d’identità per scoprire i suoi nuovi dati personali: Gennaro Corleone, nato a Corleone il 15 aprile 1960, altezza un metro e sessantacinque dai capelli brizzolati e occhi castani.
Salì a bordo della sua bella auto sportiva perché, nonostante fosse distrutta, non poteva lasciarla lì. L’avrebbe portata dal meccanico di fiducia e l’avrebbe pagato anche per il suo silenzio, tanto poteva permetterselo. Nonostante qualche difficoltà iniziale mise in moto la macchina e, dopo aver verificato la sua residenza, si diresse in direzione della sua nuova casa.
Mentre guidava, gli venne in mente che era strano che un uomo circolasse alle sei del mattino, a meno che non dovesse andare da qualche parte. In tal caso andare a casa sarebbe stata una mossa sbagliata. Gennaro prese quindi la sua agendina rossa per scoprire per quale motivo era in giro a quell’ora. Apprese che stava rientrando da Palermo, dove era rimasto per tre giorni e che, quella notte, aveva avuto un incontro con Veruska. Poteva quindi andare a casa tranquillamente.
Quel nome, però, si ripeteva almeno una volta alla settimana, di certo era la sua amante. Gennaro si lasciò sfuggire un sorriso: cosa avrebbe potuto desiderare di più di una biondona russa pronta ad esaudire ogni suo desiderio? Proprio non lo immaginava.
Gennaro guidò pensando a quanto era fortunato, quando la voce meccanica del navigatore, del quale aveva scoperto l’esistenza a metà del viaggio e capito il funzionamento ben più tardi, gli comunicò che erano arrivati a destinazione. Si fermò davanti alla più bella visione del mondo: c’era uno sterminato giardino dall’erba color smeraldo e sullo sfondo si vedevano vastissimi campi, un lungo viale alberato collegava l’entrata alla casa. Era spettacolare: di color panna aveva degli enormi porticati, grandi e numerose finestre su ogni lato e moltissimi poggioli arredati con tavolini dove prendere il caffè. Gennaro era sicuro di essere entrato in paradiso. Si era abituato al suo monolocale puzzolente e ora gli sembrava impossibile pensare a quella reggia come alla sua casa.
Scese dall’automobile per aprire l’imponente cancellata di ferro. Mentre camminava pestò un gigantesco escremento di cane, era veramente spropositato. Gennaro però non si arrabbiò, era troppo estasiato. Si limitò a pensare che nella più grande casa che avesse mai visto, dovevano per forza esserci anche le più grandi feci che avesse mai visto. E poi portavano solo che fortuna.
Dopodiché salì in auto incurante della puzza proveniente dalle sue scarpe laccate e portò l’auto davanti alla casa. Pensò che appena entrato ci sarebbe stato un maggiordomo pronto a servirlo che avrebbe anche sistemato l’auto nel garage. Quando entrò nel palazzo non poté fare altro che notare lo stile e il buon gusto con il quale era stato arredato il palazzo, tanto da farlo sembrare l’abitazione del più potente fra i re. Ma le sue aspettative riguardo al maggiordomo furono deluse: nessuno accorse verso Gennaro desideroso di servirlo. Così tornò fuori e decise di parcheggiare l’automobile sul retro.
Appena svoltò l’angolo notò una grande monovolume nero, dai finestrini oscurati e l’immenso bagagliaio. La classica auto che non promette nulla di buono. Mentre la sorpassava, si accorse che la porta scorrevole era aperta e Gennaro guardò all’interno: c’erano dei grossi sacchi neri, simili a quelli utilizzati per l’immondizia, che erano pieni di “qualcosa”. Gennaro fu tentato di andare a scoprire cosa vi fosse all’interno, ma concluse che era meglio non indagare. Di certo, viste le generalità, il vecchio signor Corleone doveva essere nel giro della malavita siciliana e Gennaro non era sicuro di voler sapere in che modo avessero riempito quei sacchi.
Parcheggiò l’auto poco più avanti ed entrò in casa da una porta di servizio che si trovava di fianco al monovolume. Gennaro non diede peso al fatto che essa era stata lasciata aperta, ma entrò in scioltezza dentro casa, chiudendo dietro di se l’ingresso.
Si trovò in cucina, dove era tutto molto pulito ed ordinato. Ovviamente, il locale era molto più grande di quanto non lo fosse di norma una cucina. Si diresse frettolosamente verso l’uscita, aveva un gran sonno addosso e pensava solo a cercare un letto dove poter dormire. Mentre stava per abbassare la maniglia, notò un grande ceppo di coltelli, interamente vuoto. Quella vista gli procurò un gran brutto presentimento e un profondo brivido lungo la schiena: per quale motivo non c’era nemmeno un singolo coltello sul ceppo? A cosa servono dei coltelli alle sei di mattina? Gennaro capì che c’era qualcosa di profondamente sbagliato in quell’assenza, ma la pigrizia si impadronì di lui e lo guidò fuori dalla stanza.
Quando era entrato per la prima volta in casa, dall’entrata principale, aveva notato delle belle scale che conducevano al piano superiore. Di certo, pensava Gennaro, le stanze da letto si dovevano trovare là, e così si diresse verso di esse. Mentre camminava, sentì il debole grido di un bambino. Gennaro si stupì di tale fatto: allora anche in paradiso esistevano gli incubi. Trovò che fosse molto strano che un bambino così benestante potesse fare brutti sogni la notte, la prese quasi come un’offesa personale al povero Paolo.
Salì le scale e si mise a cercare la stanza matrimoniale. Entrò in innumerevoli ambienti: le camerette di due ragazzi troppo grandi per gridare ancora nel sonno, due camere vuote di cui una molto disordinata, una lavanderia, svariati studi e anche una sala da pranzo. Era rimasta solo una stanza e certamente doveva essere quella in cui avrebbe potuto dormire.
Entrò in fretta, perché era molto curioso di vedere che aspetto poteva avere la moglie di un potente boss della mafia, con il quale aveva finito per identificare il vecchio signor Corleone.
Le sue speranza furono ampiamente saziate: su quel letto dormiva una donna bellissima, dai tipici tratti mediterranei. Gennaro proprio non riuscì a capire con quale coraggio il vecchio signor Corleone avrebbe potuto tradire una donna così. Anche se Veruska fosse stata la più bella signorina di tutta la Russia, sua moglie non meritava di certo un tradimento.
Gennaro proprio non capiva il vecchio signor Corleone. Aveva tutto: un’automobile da favola, una casa che sembrava la residenza di un re e la donna più eccezionale di tutta Italia; aveva una vita da sogno, quella che tutti sognano, Paolo compreso. Eppure era andato a sprecar tutto: non era mai in casa, come si poteva notare dall’agenda, tradiva la moglie con un russa qualsiasi e non stava un minimo attento quando guidava l’auto, tanto da fare un incidente mortale. Ora, però, Gennaro avrebbe approfittato di tutte le comodità delle quali si era disinteressato il vecchio signor Corleone. Avrebbe vissuto lui una vita da sogno.
Quando fu soddisfatto della contemplazione della bella donna distesa sul letto, si accinse a coricarsi di fianco a lei. Alzò le pesanti coperte ricamate e vi si infilò sotto.
Appena sfiorò il lenzuolo, sentì che era bagnato. Incuriosito, volle capire la causa di quella spiacevole sensazione e, quando vide cos’era, lanciò un urlo incredibile. Sulle lenzuola c’era una grandissima macchia di sangue. Alzando un po’ lo sguardo notò che la donna era stata accoltellata più volte sull’addome con inaudita violenza.
Ora Gennaro riuscì a congiungere tutti i suoi cattivi presentimenti: i sacchi dentro l’auto nera contenevano i corpi già caricati, il ceppo era vuoto perché i coltelli erano serviti per ammazzare tutte le persone in casa, mentre il bambino che aveva gridato non stava facendo un incubo, ma si era svegliato durante il suo assassinio.
Gennaro fu preso dal panico: c’erano degli assassini mafiosi in casa sua, pronti ad ucciderlo per regolare un conto vecchio probabilmente di decine anni. Gennaro avrebbe dovuto dare ascolto al suo sesto senso, che gli aveva ripetetuto in continuazione di uscire da quella casa.
Stava decidendo come comportarsi quando sentì dei pesanti passi che correvano lungo il corridoio. Stavano venendo nella sua direzione. Stavano venendo a prenderlo.
Si guardò attorno disperato, in cerca di una via di fuga da quei criminali, ma non trovò null’altro che il balcone, dove si rifugiò. Fortunatamente a poco più di un metro da esso, si trovava un altro poggiolo. Di certo Gennaro non aveva il fisico di una persona che si arrampica abitualmente sui tetti per scappare da assassini mafiosi, ma ci mise tutto il suo impegno.
Riuscì ad atterrare nel terrazzo di fianco per un pelo, tanto che Gennaro si era già visto schiantato a terra. Entrò nella stanza che dava su quel balcone e si trovò in uno studio. Grazie all’aiuto di qualche santo, la stanza era vuota. Cercando di fare il meno rumore possibile uscì in corridoio: c’era un omaccione armato di pistola che impediva il passaggio delle scale da cui era salito. Gennaro non aveva scampo: non conosceva la casa, dunque non sapeva se vi fosse qualche altra via d’uscita e non poteva entrare in stanze caso pregando che fossero vuote. Non sapeva cosa fare, ma qualunque cosa avesse fatto, sarebbe certamente morto.
Decise di provare a guardare nella sala che aveva di fronte, nella speranza di trovare un qualche modo di uscire e stava proprio attraversando il corridoio quando quell’ammasso di muscoli si girò e lo vide.
- Non ti muovere, – ordinò con forte accento palermitano – o ti piazzo una pallottola il mezzo alla testa.
- S-s-sì, starò f-f-fermo. – balbettò Gennaro. E pensò che per quanto quella casa fosse magnifica, era troppo movimentata per i suoi gusti. – Posso farle notare che non sono io il signor Corleone, ma che c’è stato uno scambio? – propose esitante.
- Questa è buona! Giuseppe, Carmine! – iniziò a chiamare l’omaccione, tenendo sempre la pistola ben puntata su Gennaro – L’ho trovato, venite qui!
Gennaro capì che era impossibile persuaderli che egli non era lui l’uomo che cercavano, ma che era solamente una persona identica in tutto e per tutto al vecchio signor Corleone.
Si precipitarono due delinquenti, meno palestrati del primo, ma decisamente più spaventosi: avevano in ciascuna mano un coltellaccio ed entrambi guardavano Gennaro con occhi assetati di sangue e un ghigno famelico.
- Il capo ha detto di farlo fuori subito. – disse uno dei due – Ma soprattutto ha detto di farlo soffrire molto! – concluse con un gran sorriso.
- Carmine, stai zitto! Non vorrai spaventare il signor Corleone. – ringhiò con tono ironico l’altro, che aveva tutta l’aria di essere quello con più autorità fra i tre. Poi si rivolse a Gennaro – Mi presento: sono il signor Giuseppe, un caro amico di Calogero Calò. Le dice niente questo nome?
- N-no. – rispose titubante Gennaro.
- Male, molto male. Avete rubato al signor Calò molto denaro, nonostante egli fosse stato molto buono con voi in passato. Vi ha fatto uscire di prigione il signor Calò, rammentate?
Gennaro rimase zitto, non sapendo come rispondere. Ma l’unica cosa che ottenne con il silenzio fu un poderoso ceffone da parte di Giuseppe, con risolino annesso degli altri due balordi.
- Quando faccio una domanda, non amo che non mi si risponda. Chiaro?
Gennaro annuì appena appena. Voleva morire, non aspettava altro. Una morte veloce e indolore che lo avrebbe finalmente mandato all’altro mondo, perché questo era stato troppo crudele.
- Salvo, dammi la pistola che questo mi sa che non ha ben capito. – disse Giuseppe rivolto allo sgherro che l’aveva trovato.
Questi gliela lanciò, ma Giuseppe non riuscì a prenderla al volo.
L’arma cadde, invece, addosso a Gennaro. Non aspettò nemmeno un secondo, Gennaro prese la pistola e si sparò dritto in gola.
Mentre lo fece, non rivisse la propria vita, probabilmente perché non c’era nulla d’interessante da rivivere. Non pensò a nessuno dei suoi cari, perché non ne aveva avuti. Rimuginò solo sul fatto che per riuscire ad andarsene da quel mondo che aveva tanto odiato, aveva dovuto cambiare identità e rischiare di essere brutalmente assassinato da alcuni mafiosi che lo avevano scambiato per un’altra persona.
Non aveva avuto coraggio neanche nel morire: premette il grilletto solo per paura di fare una fine peggiore. Non aveva fatto proprio nulla nella sua vita d’incubo che meritasse di essere rivissuto.


Federica Magnabosco, Matteo Zoppello, Diego Lombarda.