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lunedì 30 novembre 2009

IN DIRITTURA D'ARRIVO

Una pozzanghera non molto profonda.


Vi proponiamo ora il sesto capitolo del nostro racconto,

il penultimo che racconta delle peripezie del giovane Marco Brambilla.



Buona lettura!


Gli scrittori_improvvisati

Capitolo Sei

Uscito dalla stazione Marco si accorse che non pioveva più.
“Almeno questo.” pensò “Cavolo che pugno che mi ha tirato quello stronzo.”
Per il male allo stomaco, non si era accordo di perdere sangue dallo zigomo a causa del calcio che gli aveva rifilato Cesare.
Guardò il suo orologio da polso e si accorse che erano da poco passate le nove e venti. Per arrivare alla trattoria dal punto in cui si trovava, calcolò che avrebbe dovuto camminare per circa tre chilometri e contò di riuscire ad arrivarci in trenta minuti, camminando velocemente. Si poteva addirittura permettere il lusso di entrare in un bar a prendere un caffè per scrollarsi di dosso tutte le disavventure della mattina.
Entrò nella prima bettola che trovò e il barista, dotato di un discutibile senso dell’igiene, lo squadrò molto male, facendo intuire a Marco le pessime condizioni in cui si trovava. Dopo aver preso un espresso caldo con molto zucchero, andò alla toilette per darsi una sistemata.
Nel bagno non c’era nemmeno uno specchio, dovette perciò arrangiarsi guardando il suo riflesso sulle piastrelle lucide. Tuttavia riuscì ad ottenere un risultato accettabile. Pagò il conto e uscì dal locale avviandosi con passo tranquillo verso Cusano.
Camminò per dieci minuti serenamente, dimentico delle peripezie di poco prima e fiducioso che la buona sorte l’avrebbe assistito per il resto della giornata. Ma Marco Brambilla era un nome che la dea bendata non conosceva.
Un’auto di grossa cilindrata passò a tutto gas vicino al giovane e la sfortuna volle che proprio di fianco a Marco si fosse creata, a causa dei temporali, una profonda pozzanghera che assalì il ragazzo. Istintivamente egli alzò il dito medio e aggiunse l’adatta la frase di accompagnamento a tale gesto, rivolto all’autista. Proprio in quel momento un poliziotto svoltò l’angolo e fu inondato dalle imprecazioni di Marco.
- Signore la prego di perdonarmi non era mia intenzione offenderla. – si giustificò prontamente Marco – Un idiota ha appena preso quella pozzanghera e mi ha bagnato dalla testa ai piedi!
- Moderi il linguaggio, sta parlando con un ufficiale! – rispose severo il giovane poliziotto.
- Mi perdoni agente, non volevo proprio aggredirla in quel modo. La prego di accettare le mie scuse. Ho un importante colloquio di lavoro e non posso assolutamente tardare. – tentò di impietosirlo Marco.
- Per questa volta le credo, ma veda di non insultare mai più noi agenti di polizia come ha appena fatto.
Il giovane annuì e salutò. Prima di andarsene, una domanda balenò nella mente del ragazzo.
- Signor agente, mi perdoni. Ho sempre avuto, sin da bambino, una passione per il corpo della polizia e avrei una curiosità che lei può aiutare a saziare.
- Prego, dica pure. – rispose orgogliosamente il poliziotto.
- Mi potrebbe mostrare il suo manganello? – chiese timidamente Marco, senza nemmeno immaginare il significato nascosto della sua frase.
Una vampata di rabbia salì fino alle orecchie della guardia suscettibile, che si sentì ferita nell’orgoglio.
- Come si permette di oltraggiare in questo modo il corpo della Polizia di Stato? Mi segua, che la porto a fare un giro fino al commissariato di Cinisello Balsamo per queste sue gravi offese. – lo accusò indignato il poliziotto.
- No! Per quale motivo dovrebbe arrestarmi? Cos’ho fatto di male? Ho solo domandato se mi poteva mostrare la sua arma, non volevo offenderla. Se non le va, basta che mi dica di no e ognuno va per la sua strada.
- La finisca di fare questi giochini di parole, non sono affatto divertenti. Andiamo, la volante è parcheggiata poco più avanti.
- No no! La prego, io non volevo fare nulla di male, non volevo oltraggiare nessuno. – supplicò Marco, con le lacrime che gli rigavano le guance arrossate.
L’agente s’imbarazzò, perché aveva capito che ciò che aveva detto il ragazzo non aveva nessun secondo fine, non aveva intenzione di prenderlo per i fondelli. Intanto Marco stava impalato davanti a lui con lo sguardo basso per la vergogna del proprio pianto.
- Senti ragazzo, evidentemente ci siamo capiti male. – iniziò l’agente – Non ti porterò in commissariato. Va pure al tuo colloquio di lavoro e dimentichiamo quello che è successo. – concluse l’agente dando una forte pacca sulla spalla di Marco.
Al ragazzo si illuminarono gli occhi per la felicità: aveva già immaginato di dover trascorrere la notte in cella perché i suoi non avrebbero pagato la cauzione in modo da fargli imparare la lezione.
- Oh, la ringrazio così tanto! Giuro che entrerò a far parte della polizia quando sarò più grande. – esplose Marco.
- Bene, saggia scelta ragazzo, arrivederci! – lo salutò l’agente, che se ne andò.
Anche Marco riprese a camminare per la sua strada, allegro per essere riuscito a scamparla ancora una volta.

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