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giovedì 4 febbraio 2010

Capitolo uno di un racconto giallo suppergiù

"Mi prese per mano, non riuscii a capire se lo fece per fare forza a sé stesso o per fare forza a me. Ci avviamo così soli verso il fiume"


Ecco pubblicato il primo capitolo del nostro terzo racconto.


Un racconto diverso dagli altri che speriamo possiate apprezzare comunque.


Buona lettura

Gli scrittori_improvvisati


Capitolo 1

Il sangue sgorgava da quella sua lurida testa. Io e Davide guardavamo il corpo esanime di Luca steso a terra: l’avevamo ucciso. Eravamo stati noi due, insieme, anche se a spingerlo era stato solo uno eravamo entrambi colpevoli. Ma come si fa ad essere così idioti da scivolare sul ghiaccio e sbattere la testa contro il muro?
Non sapevo che fare, avevo paura. Mi voltai verso Davide, in cerca di un suo sguardo che potesse darmi forza. Era sempre sicuro di sé, protetto dai suoi muscoli e dal timore che incutevano nelle persone. Ma questa volta i suoi occhi brillavano alla luce fioca dell’unico lampione presente in strada.
- Che facciamo? – volevo rompere quel silenzio straziante, non ce la facevo più. Nonostante tutto, però, non sentivo il bisogno di piangere. Luca era uno stronzo e di certo non sarebbe mancato a nessuno. Se l’era cercata la sua morte.
- Andiamo Mary. – mi rispose Davide in un soffio. Aveva la voce rotta: per la prima volta in vita sua aveva paura.
Mi prese per mano, non riuscii a capire se lo fece per fare forza a sé stesso o per fare forza a me. Ci allontanammo quindi dal parco e ci avviamo così, soli verso il fiume.
Davide mi era sempre piaciuto ed io ero sempre piaciuta a lui. Non ce lo eravamo mai detto, ma dentro di noi lo sapevamo. Era tutta colpa di Luca se non c’era mai stato niente fra di noi: con la sua gelosia e le sue protezioni non mi lasciava avvicinare da nessuno finché eravamo insieme, nemmeno dal suo migliore amico Davide. Tutto sommato ero contenta che fosse morto.
Arrivammo ad una panchina e ci sedemmo. Mi accesi una sigaretta e ne offrii una a Davide, anche se sapevo che non fumava.
- Sì, grazie – mi rispose.
Mi spiazzò, capii che nemmeno lui era perfetto: il suo viso d’angelo, il fisico marmoreo e la sua bontà erano impareggiabili. Nemmeno lui era senza difetti. Gli diedi una sigaretta e gliel’accesi consapevole che era colpa mia se non era perfetto.
Fumammo in silenzio, con la nuca spappolata di Luca ben impressa nella mente. Quella nuca che era stata per tanto tempo mia, che avevo coccolato e che avevo amato, nonostante fosse totalmente vuota all’interno. Iniziai a piangere.
Fu un pianto singhiozzante e pieno di paura. Non fu un bel vedere, fu sguaiato e umiliante. Appoggiai il mio viso sulla spalla di Davide e mi abbracciò. Io piansi per un sacco di tempo, avvinghiata a lui. Doveva salvarmi, senza la mia ancora sarei affogata. Prese il mio viso fra le sue mani e mi baciò. Fu un bacio semplice e, seppur privo di passione, pieno di affetto.
- Insieme ce la faremo. – mi disse – Fidati di me.
Mi fidavo di lui più che di chiunque altro. Lo baciai di nuovo, in segno della mia fiducia.
Era notte fonda, non c’era nessuno in giro. In un paesino stupido e pieno di vecchiacci come Meledo all’una non girava nessuno. Odiavo il paese in cui vivevo, non c’era un cane: solo sfigati che pensano ad arare i campi. Gli unici amici che avevo erano Luca e Davide ed ora uno era morto. Rimanemmo abbracciati sulla panchina fino a che non mi calmai e poi andammo a dormire a casa sua. I miei erano ad una qualche cena da amici e sarebbero tornati a casa talmente ubriachi da non rendersi conto se ero presente in casa o no.
Ci stendemmo sul suo letto, con i vestiti ancora addosso: avevamo bisogno l’uno dell’altra dopo la terribile nottata che avevamo passato. Io continuai a piangere sulla sua spalla, in silenzio però, per non svegliare i suoi.
In realtà non sapevo bene perché piangevo, non mi mancava Luca e non mi interessava nulla di lui. Non piangevo nemmeno per il senso di colpa: mi sentivo la coscienza pulita era solo colpa sua se era morto. Piangevo solo per poter rimanere ancora rannicchiata fra le forti braccia di Davide. Nessuno dei due riuscì a dormire.

Intanto, steso sopra una lastra di ghiaccio giaceva Luca: nessuno immaginava che fosse ancora vivo.
Faceva fatica a respirare e aveva la vista totalmente annebbiata, non capiva nulla. Sentiva dentro di sé che non gli restava tanto da offrire a questa vita, che la morte voleva venirlo a prendere al più presto.
- Che figli di puttana. – riusciva solo a pensare – Ma gliela faccio pagare prima di andarmene da questo fottutissimo mondo.
Non aveva idea di che ora fosse, ma era sicuramente rimasto privo di sensi per gran parte della notte. Tentò di voltarsi e vide l’enorme chiazza di sangue che lo circondava. Sarebbe di certo morto: se non di freddo allora per dissanguamento. Nonostante la confusione che regnava nella sua testa, notò un cumulo di neve alla sua destra che ancora non era ghiacciato.
Iniziò a scrivere le iniziali del suo assassino: D.M. Proprio appena aveva finito di scrivere la M ecco che la morte lo venne a prendere. Luca non faceva più parte di questo mondo.
Per sua sfortuna, nei suoi ultimi momenti non aveva pensato che le persone presenti al suo assassino erano due: Maria Dall’Igna e Davide Marin. Due D.M. presenti, ma un solo assassino.


Federica Magnabosco, Matteo Zoppello, Diego Lombarda.

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